Editoriale – Pace tra Russia e Ucraina: chi non la vuole?

Jeffrey Sachs, 69 anni, economista e saggista statunitense, dal 2002 al 2016 direttore dell’Earth Institute alla Columbia University, dove tuttora insegna, il 13 Maggio ha rilasciato un’intervista a Sky TG24.

L’Economista, a Roma per un incontro sul futuro sostenibile, è stato portato però dal conduttore, che lo interpellava dallo studio, a ragionare sulla guerra in Ucraina. Inaspettatamente il giornalista ha dovuto registrare la circostanziata denuncia del Professore statunitense che, senza perplessità, ha accusato la Nato di essere la vera promotrice della guerra per le sue mire espansioniste verso l’Ucraina.

In breve Sachs ha svelato che «Zelensky era stato votato perché trovasse un accordo di pace con la Russia, ma l’azione le è stata impedita dalle attuali leadership statunitense e britannica decise a non volere il suo Paese neutrale».

La guerra potrebbe terminare a breve e i negoziati concludersi velocemente, ha spiegato il Professore, se la Nato dichiarasse di non voler più espandersi, «ma sfortunatamente negli Stati Uniti ci sono troppi guerrafondai e in Europa ci sono troppi politici che seguono gli Stati Uniti».

Così, per la cinica volontà di élite angloamericane di mantenere il proprio potere, è morto un elevato numero di soldati ucraini (secondo stime Usa oltre 70.000, ai quali aggiungere migliaia di vittime civili) e russi (75.000?).

Sachs ha anche confermato che molti leader europei si sono detti contrari alla guerra, «in conversazioni private», ma non hanno trovato il coraggio di ammetterlo in pubbliche dichiarazioni.

Il risultato è che oggi tutti i Paesi europei hanno economie in sofferenza anche per i costi di una guerra non voluta, mentre gli Usa tornano a prosperare. Un colosso chimico come Basf, per fare un esempio, ha dovuto aprire stabilimenti negli Stati Uniti per usufruire dei bassi costi energetici garantiti da Washington, non potendo più approvvigionarsi come prima in Russia, Paese che forniva gas e petrolio a basso costo a mezz’Europa.

Quanto a sovranismo gli americani si sono dimostrati eccellenti campioni. Per badare ai propri interessi hanno indebolito l’Europa, distrutto l’Ucraina e spinto la Russia tra le braccia della Cina.

Naturalmente anche nel Vecchio Continente non mancano gruppi di potere ed esponenti politici legati alle leadership angloamericane che sono quindi favorevoli a proseguire la guerra.

Uno di questi è il senatore a vita Mario Monti, economista, diventato capo del governo (senza essere stato eletto) grazie ad una manovra di palazzo promossa dall’allora presidente della Repubblica, il comunista Giorgio Napolitano, in perfetta consonanza con quanto auspicato dai leader dell’epoca, la tedesca Angela Merkel e il francese Nicolas Sarkozy.

Il Professore, il 4 Maggio, ha rilasciato un’intervista al “Corriere della sera” nella quale, rispondendo alla domanda “come vede il futuro?”, ha testualmente detto: «Dovremmo recuperare una parola desueta: sacrifici. Davvero possiamo avanzare nell’integrazione europea, reggendo due guerre sulle nostre frontiere, senza sacrifici?

L’Italia non si è fatta senza spargimenti di sangue: non sarebbe bastata la finezza di Cavour, è servito l’esercito piemontese, con i volontari, i garibaldini…».

Mentre tre cattolici, De Gasperi, Adenauer e Schuman, settant’anni fa avviavano il processo d’unificazione europea per scongiurare la guerra, oggi illuminati liberali la invocano sostenendo che solo con un bagno di sangue se ne può completare l’unificazione.

Per costoro, quindi, la guerra contro la Russia sarebbe l’indispensabile suggello per affratellare i popoli europei.

Negli Anni Settanta lo psichiatra Franco Basaglia sosteneva che «una società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia». Quest’ultima abbiamo imparato a tollerarla, il mefistofelico cinismo, no.

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